Sunday, April 8, 2012

Viva Europe!

I contatti giornalieri del blog sono in caduta libera, peggio degli indici di borsa e delle probabilità che la Roma vada in champions, e da più parti mi si rimprovera di non scrivere nuovi aggiornamenti sull mia avventura USA. Ok, lo so, ma c'è da dire che tra qualche lavoretto da finire e le lezioni a pieno ritmo (3h al giorno, per di più di sera, dal lunedì al venerdì) non è che rimanga molto spazio da dedicare all'elaborazione di qualche post che sia lontanamente interessante/simpatico/giovaneedinamici. Ma per fortuna il fine settimana porta un po' di tranquillità in più. E poi oggi c'è stato questo happening intitolato "VIVA Europe", che va in qualche modo raccontato.

Inizieremo dicendo che qui tutti si definiscono "irlandesi", "polacchi", "indiani" o simili, ma - almeno a Gainesville - NESSUNO degli abitanti del 2012 è arrivato con la valigia di cartone e "quel sentimento nuovo per casa e madre". Le anchestries che vantano sono per lo più vaghi racconti familiari, confusi e annacquati dalla ripetizione attraverso più generazioni, mentre ormai le foto di famiglia sono composte solo da persone nate qui. Per di più, visto che l'università è l'unica ragione di esistenza di questo posto, né i ragazzi, né i professori sono cresciuti qui e hanno identità ulteriormente diluite. Anzi, il fatto che studino/insegnino in una università fa sì che si tratti cmq di persone inserite da almeno una generazione nell'America che se lo può permettere. 
Cmq, come dicevo, alla fine tutti hanno una sorta di identità di provenienza, o magari più di una, e per questo si organizza ogni anno questa giornata delle tradizioni delle varie comunità in modo non dico da tenerle vive, ma almeno da farle conoscere agli altri. Però capiamoci, il "format" non è un Linea verde (del quale rimpiango ancora la versione con Lello Putignani, Bastilani e l'ing. Alfio Campianella), ma un qualcosa a metà tra un talent show e un villaggio turistico.
Ci sono state improbabili ballerine della Flamenco Society of North Florida (che non mi suona proprio autentico, un po' come i nazisti dell'Illinois, che io cmq odio), alcuni gruppi pseudo-irlandesi, una mia studentessa con un bisnonno portoghese (su otto) che cantava il fado (avendo scaricato la base solo due giorni prima), degli istruttori di palestra lituani che introducevano i bambini volontari a non so che arte marziale originaria del Baltico... mah! I banchetti dei vari Paesi cercavano di offrire qualche elemento di identità nazionale: l'Ungheria rappresentata da cubo di Rubik, riviste tedesche prese in biblioteca, un  cartellone di parole elementari in catalano




















La cosa più triste era l'angolo fotografie, con dei poster di Parigi, Istanbul e Praga (perchè praga?) dove ci si poteva far fotografare con il panorama sullo sfondo. Mi correggo, la cosa più triste era vedere la fila che si era creata per l'angolo fotografie, con dei poster di Parigi, Istanbul e Praga (perchè Praga?) dove ci si poteva far fotografare con il panorama sullo sfondo...

Al centro della piazza c'era questo campo di bocce, sport le cui regole credevo fossero impresse nella precomprensione di qualsiasi essere umano, come l'istinto della suzione o il fastidio per i testimoni di Geova. E invece mi sono accorto che l'animo competitivo del popolo a stelle e strisce non concepisce uno sport nel quale non si "affronti" un avversario.
Saranno gli effetti di una cultura politica inevitabilmente maggioritaria, saranno i dibattiti tra i candidati delle presidenziali, ma proprio non gli veniva di capire che ci si mette tutti da un lato, si tira il boccino e poi si fa a chi ci si avvicina di più. Non mi pare difficile e il cartello in qualche modo lo spiegava bene (tranne sul punteggio: non si arrivava a 21?). E invece si mettevano ognuno alle estremità del campo, uno di fronte all'altro come in un duello all'arma bianca, e iniziavano a giocare...

Ora non per fare la morale della situazione, ma c'è da dire che la piazza nella quale si organizzava il tutto è un po' il posto degradato della città, in cui di solito si aggirano gli homeless del posto (o i freaks, come cercano di mascherarne un po' la condizione). Ecco, queste persone erano tutte intorno all'avvenimento, ma si percepiva la sensazione di "espropriazione" del posto. Alla fine in un angolo della piazza i vari stand gastronomici hanno organizzato una mensa dei poveri, presso la quale la fila era lunga più o meno come quella per la foto con il finto panorama.











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